Alessandro
Del Piero non ci ha pensato due volte e ha dedicato il posto più alto della sua
personale classifica dei migliori sportivi del 2013 ad Alessandro Birindelli,
suo ex compagno di squadra della Juventus e attuale tecnico delle squadre
giovanili del Pisa.
Il
motivo di questo posto d’onore? Durante una partita di campionato di calcio,
dopo aver ripreso i genitori dei giocatori che non la smettevano di litigare in
tribuna, ha radunato i suoi piccoli atleti di 11 anni e insieme si sono
incamminati verso l’uscita, costretti a dare agli adulti il buon esempio di un
ottimo comportamento educativo, anche se questo voleva dire, secondo le regole
della Federcalcio, la perdita della partita a tavolino.
Ma
partiamo dal fatto, simile ai molti che si verificano (e purtroppo si
tollerano) durante i campionati giovanili di calcio: un giocatore sbaglia un
tiro, in tribuna un genitore grida “Levalo!”, l’altro si sente offeso e
risponde, e da lì in poi nessuno dei due riesce più a fermarsi. Partono
insulti, grida, comportamenti anti-sportivi, cattivo esempio e i genitori diventano
i veri protagonisti della giornata calcistica, anche se in negativo…
Birindelli
però non ci stava e si è fermato, ha provato a responsabilizzarli, li ha
esortati a gestire le proprie emozioni così come fa con i loro figli, li ha
avvisati che se non si calmavano, loro non ci stavano a tollerare un
comportamento anti-sportivo. Ma i genitori non si sono calmati, non si sono
responsabilizzati e il Mister ha fatto quello che qualsiasi buon educatore
dovrebbe fare: non ha partecipato al litigio ma nemmeno ha lasciato correre,
decidendo su due piedi di dare semplicemente il buon esempio, perché in gioco
c’era molto di più di una partita di campionato Esordienti.
In
gioco c’era l’educazione con la quale, attraverso lo sport, si insegna ai
bambini a vivere la vita con coraggio e rispetto. Lo sport è uno dei mezzi educativi
più potenti per sostenere i giovani nella crescita, perché possano fare
esperienza di vita in un modo sano e in un ambiente sano. Esso stimola ad
impegnarsi, a migliorarsi, a mettersi alla prova, ad allenare il coraggio, a
pensare, valutare, agire, a stringere sani rapporti sociali, a raggiungere gli
obiettivi, ad avere fiducia, a rispettare le regole, ad assumersi la responsabilità,
ad acquisire autonomia, a comportarsi in modo corretto e giusto, a crescere in
modo sano ed equilibrato. Credo che nessun genitore, nessun allenatore, nessun
educatore sarebbe in disaccordo con questa lista.
Ma
ciò che non si dovrebbe mai perdere di vista è la capacità di gestire con
efficace il proprio ruolo all’interno di questo circolo virtuoso, in cui al
centro c’è il nostro piccolo atleta, nostro figlio, e attorno ruotano
allenatori, preparatori, compagni, ambiente sportivo e naturalmente genitori. Ed
ecco le regole di base: tutti questi elementi devono essere in equilibrio,
tutti devono andare nella stessa direzione, tutti devono svolgere con
responsabilità il proprio ruolo.
In
questo importante contesto educativo che è la partita di calcio del campionato,
un genitore non dovrebbe mai dimenticare che non sta solo guardando una partita,
ma sta insegnando qualcosa di importante al proprio figlio (e ai figli degli
altri): deve solo decidere che cosa vuole veramente trasmettergli, e prendersi
la responsabilità di questo. Se un genitore non tollera la frustrazione, o non
si controlla di fronte ad una prevaricazione, quale insegnamento trasmetterà al
figlio? Il bambino non diventerà più sicuro di sè, più rispettoso o più bravo
solo perché gli diciamo di esserlo. Dobbiamo fargli vedere con l’esempio cosa
significa, esattamente come ha fatto Birindelli, perché questo fa parte del
nostro importantissimo ruolo di educatori.
Diventa
quindi di fondamentale importanza non reagire di fronte alle minacce esterne
con comportamenti anti-sportivi perché nostro figlio sta guardando, sta
assorbendo, sta imparando da noi come ci si comporta di fronte alle difficoltà.
Altrimenti come potremo chiedere poi ai nostri figli di comportarsi in modo corretto
se siamo stati i primi a non aver saputo mettere in atto questo comportamento
nel momento in cui serviva?
I
bambini non imparano ad essere tenaci, lottatori giusti, a raggiungere
obiettivi e stare bene nel contesto sociale in modo casuale. Lo imparano perché
qualcuno gli insegna a controllare le proprie emozioni, a comportarsi
civilmente, a giocare semplicemente al gioco del calcio con i propri compagni
nel rispetto di tutti, avversario o genitore maleducato compresi, esprimendo
sul campo il diritto di imparare dai propri errori.
Ed
è questa la parte più difficile, la nostra sfida che ci viene lanciata nell’assumere
questo ruolo e nel cercare di portarlo avanti nel migliore dei modi: di che
cosa ho bisogno per riuscire ad insegnare a mio figlio con il mio esempio
sportivo a comportarsi bene, anche quando qualcuno mi pungola a dare il peggio
di me? Mio figlio mi guarda, mi ascolta, mi copia, come posso insegnargli il
comportamento più giusto per lui (e non per me) nonostante gli imprevisti e le
difficoltà? E che cosa devo fare (e non fare), dire (e non dire) per
trasmetterglielo?
In
fiduciosa attesa di vedere tribune piene di buoni esempi educativi,
accontentiamoci per il momento di questo spettacolare Mister dalla mente aperta
e dal cuore coraggioso, che si merita anche un bel 10 in educazione sportiva…
Micaela
Deguidi
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