Nessuno poteva immaginare
che una gara di podismo di fine marzo potesse trasformarsi in una tragedia.
Nessuno. Eppure è successo l’imprevedibile, l’inaccettabile, l’incomprensibile:
la morte ha toccato la mano di un giovane podista, e probabilmente ne ha
sfiorate tante altre…
Quella che sembrava una
giornata destinata a diventare un evento da ricordare con piacere nella mente
di molti, venuti per l’occasione da Italia, Francia, Germania, Ungheria,
Olanda, è diventata una lotta per la sopravvivenza, un dolore impresso nel
cuore delle persone, sensazioni che nessuno vorrebbe ricordare più, e che
invece si porterà a casa per sempre.
La natura ha avuto la
meglio e si è espressa con tutta la sua libertà. Sulla carta era una domenica
di fine marzo, nella realtà una di pieno inverno: gelo, pioggia, vento forte,
neve in montagna, fango nei boschi da attraversare. Ma non sono servite le
previsioni visibili a tutti, non sono servite le forze dell’ordine, i medici, i
vigili del fuoco e i soccorsi alpini: Paolo Ponzo non ce l’ha fatta, non è
tornato a casa. A 41 anni ha lasciato una moglie e due bambini sgomenti e
increduli di fronte all’inaspettata tragedia.
Paolo Ponzo non era certo
uno sprovveduto, ne sapeva parecchio di resistenza
e fatica fisica, di preparazione
atletica e allenamento: aveva
dedicato la sua vita allo sport. Ex giocatore di calcio di serie A, era
Responsabile del Settore Giovanile della Savona Calcio, di cui era stato anche
Capitano. Paolo era abituato a correre, a resistere,
a conoscere il suo corpo e la sua mente. Eppure domenica qualcosa è andato
storto, forse più di qualcosa.
Già alla partenza il
dubbio avrà sfiorato la sua mente e quella degli altri. In quel momento sarà
sembrata a tutti una piccola follia intraprendere questa difficile maratona con
le condizioni meteo che si presentavano: pioggia che si sarebbe trasformata in
neve di lì a pochi chilometri, vento pungente che penetrava gli indumenti
primaverili dei partecipanti, acqua e fango su un terreno sconnesso. Ma si sa,
la sfida è la gioia di ogni atleta,
difficile resistergli, anche quando la logica razionale spinge per farsi
sentire.
In condizioni normali è
proprio questo terreno che affascina i molti partecipanti che si iscrivono a
questa particolare corsa: da Loano a Toirano, dal mare alla montagna, con
tracciati impegnativi, su e giù per monti, boschi, con dislivelli complessi, un
percorso di 25 chilometri e uno più impegnativo di 47, con un tempo massimo di
percorrenza di circa 10 ore. 10 ore immersi nella natura, la stessa natura che
può trasformarsi da meravigliosa a pericolosa nel giro di pochissimo. La natura
va rispettata, e mai sottovalutata.
24 marzo, siamo alla
partenza. E’ primavera, sopra la testa inaspettate condizioni meteo invernali,
il freddo pungente già a livello del mare, per molti l’abbigliamento di una
corsa di primavera. Occhi negli occhi, a cercare di capire cosa fare, immersi
in questa marea di magliette colorate che si muovono piano verso la montagna,
nessuno ferma la corsa, il mare di magliette prosegue, è un attimo, prosegue
anche Paolo, e con lui tanti podisti che capiscono presto di dover farsi forza
contro il vento, la neve, le intemperie, il freddo che gela il cervello piano
piano, senza rendersene bene conto. Tutto rallenta nella testa, nel corpo,
nelle decisioni, e in mezzo a quella natura incontaminata l’unica cosa
possibile da fare sembra quella di andare avanti, un passo alla volta, un’ora
dopo l’altra, caduta dopo caduta, non sembra esserci via d’uscita.
Come tanti altri, Paolo
Ponzo si è sentito male in altura, il freddo non risparmiava nessuno. Ma la
zona, i sentieri coperti di neve e fango, le forti raffiche di vento hanno reso
difficili i soccorsi e impossibile l’intervento con l’elicottero. Paolo è stato
trasportato a spalle, in barella, dalle squadre di servizio che hanno cercato
di rianimarlo per tutto il percorso, durato quasi due ore prima di riuscire a
raggiungere un’ambulanza. La zona, il terreno, le intemperie non hanno permesso
di più ai soccorritori, che non dimenticheranno la vita di Paolo appoggiata
sulle loro spalle. Avranno pregato i volontari durante quelle due lunghe ore
disperate, dopo aver fatto tutto il possibile per lui, avranno pregato che
tutto andasse bene, ma questa volta non è andato tutto bene. E se diversi
podisti se la caveranno con degenze e convalescenze di vario genere e paure
difficili da dimenticare, per poi tornare ognuno alla propria vita, a Paolo è
toccato il rischio peggiore, e non tornerà più.
Non credo ci pensasse
quando al via, occhi negli occhi con i suoi vicini, decideva di incamminarsi in
quella strana avventura. Avrebbe potuto non andare, certo. Ma un atleta non si
ferma per il tempo. E poi nessuno aveva fermato la corsa, nessuno sembrava
preoccupato per la vita d qualcuno, eppure in tanti erano assolutamente
impreparati per quella maratona dalle temperature folli. Non certo i top runner,
abituati ad ascoltarsi, a sentirsi, ad agire prima di sentire un bisogno,
perché sanno che quando lo senti è già troppo tardi. Non i più esperti, che in
tre ore avevano già raggiunto il primo traguardo dei 24 chilometri.
Parlo della marea di
maratoneti inesperti, che non avevano le conoscenze,
l’esperienza, la capacità di
valutare le condizioni, il percorso, il proprio allenamento e il proprio abbigliamento come almeno sufficienti per
affrontare ore e ore di dura prova che la natura di lì a poco avrebbe messo sul
loro cammino. Un percorso molto impegnativo, troppo per quelle condizioni,
troppo per certe inesperienze. In tanti si sono fermati allo stremo delle
forze, al limite dell’ipotermia, feriti per le cadute dovute ad un terreno reso
estremamente pericoloso da pioggia, fango e vento.
24 marzo, il carrozzone
parte, nessuno lo ferma, nessuno si ferma. Chi ha la responsabilità di decidere
il limite entro cui una corsa podistica non può più essere considerata tale se
mette in pericolo la vita degli atleti?
In attesa degli sviluppi
dell’inchiesta, se lo chiederanno con il cuore in mano quei soccorritori che non
ti dimenticheranno più perchè hanno tenuto il tuo ultimo pezzo di vita sulle
loro spalle, pregando che non toccasse a te il rischio più grosso, quello di
non tornare più. Ciao Paolo.
Micaela Deguidi
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