giovedì 28 marzo 2013

Tra la vita e la morte...


Nessuno poteva immaginare che una gara di podismo di fine marzo potesse trasformarsi in una tragedia. Nessuno. Eppure è successo l’imprevedibile, l’inaccettabile, l’incomprensibile: la morte ha toccato la mano di un giovane podista, e probabilmente ne ha sfiorate tante altre…

Quella che sembrava una giornata destinata a diventare un evento da ricordare con piacere nella mente di molti, venuti per l’occasione da Italia, Francia, Germania, Ungheria, Olanda, è diventata una lotta per la sopravvivenza, un dolore impresso nel cuore delle persone, sensazioni che nessuno vorrebbe ricordare più, e che invece si porterà a casa per sempre.

La natura ha avuto la meglio e si è espressa con tutta la sua libertà. Sulla carta era una domenica di fine marzo, nella realtà una di pieno inverno: gelo, pioggia, vento forte, neve in montagna, fango nei boschi da attraversare. Ma non sono servite le previsioni visibili a tutti, non sono servite le forze dell’ordine, i medici, i vigili del fuoco e i soccorsi alpini: Paolo Ponzo non ce l’ha fatta, non è tornato a casa. A 41 anni ha lasciato una moglie e due bambini sgomenti e increduli di fronte all’inaspettata tragedia.


Paolo Ponzo non era certo uno sprovveduto, ne sapeva parecchio di resistenza e fatica fisica, di preparazione atletica e allenamento: aveva dedicato la sua vita allo sport. Ex giocatore di calcio di serie A, era Responsabile del Settore Giovanile della Savona Calcio, di cui era stato anche Capitano. Paolo era abituato a correre, a resistere, a conoscere il suo corpo e la sua mente. Eppure domenica qualcosa è andato storto, forse più di qualcosa.

Già alla partenza il dubbio avrà sfiorato la sua mente e quella degli altri. In quel momento sarà sembrata a tutti una piccola follia intraprendere questa difficile maratona con le condizioni meteo che si presentavano: pioggia che si sarebbe trasformata in neve di lì a pochi chilometri, vento pungente che penetrava gli indumenti primaverili dei partecipanti, acqua e fango su un terreno sconnesso. Ma si sa, la sfida è la gioia di ogni atleta, difficile resistergli, anche quando la logica razionale spinge per farsi sentire.  
In condizioni normali è proprio questo terreno che affascina i molti partecipanti che si iscrivono a questa particolare corsa: da Loano a Toirano, dal mare alla montagna, con tracciati impegnativi, su e giù per monti, boschi, con dislivelli complessi, un percorso di 25 chilometri e uno più impegnativo di 47, con un tempo massimo di percorrenza di circa 10 ore. 10 ore immersi nella natura, la stessa natura che può trasformarsi da meravigliosa a pericolosa nel giro di pochissimo. La natura va rispettata, e mai sottovalutata.

24 marzo, siamo alla partenza. E’ primavera, sopra la testa inaspettate condizioni meteo invernali, il freddo pungente già a livello del mare, per molti l’abbigliamento di una corsa di primavera. Occhi negli occhi, a cercare di capire cosa fare, immersi in questa marea di magliette colorate che si muovono piano verso la montagna, nessuno ferma la corsa, il mare di magliette prosegue, è un attimo, prosegue anche Paolo, e con lui tanti podisti che capiscono presto di dover farsi forza contro il vento, la neve, le intemperie, il freddo che gela il cervello piano piano, senza rendersene bene conto. Tutto rallenta nella testa, nel corpo, nelle decisioni, e in mezzo a quella natura incontaminata l’unica cosa possibile da fare sembra quella di andare avanti, un passo alla volta, un’ora dopo l’altra, caduta dopo caduta, non sembra esserci via d’uscita.

Come tanti altri, Paolo Ponzo si è sentito male in altura, il freddo non risparmiava nessuno. Ma la zona, i sentieri coperti di neve e fango, le forti raffiche di vento hanno reso difficili i soccorsi e impossibile l’intervento con l’elicottero. Paolo è stato trasportato a spalle, in barella, dalle squadre di servizio che hanno cercato di rianimarlo per tutto il percorso, durato quasi due ore prima di riuscire a raggiungere un’ambulanza. La zona, il terreno, le intemperie non hanno permesso di più ai soccorritori, che non dimenticheranno la vita di Paolo appoggiata sulle loro spalle. Avranno pregato i volontari durante quelle due lunghe ore disperate, dopo aver fatto tutto il possibile per lui, avranno pregato che tutto andasse bene, ma questa volta non è andato tutto bene. E se diversi podisti se la caveranno con degenze e convalescenze di vario genere e paure difficili da dimenticare, per poi tornare ognuno alla propria vita, a Paolo è toccato il rischio peggiore, e non tornerà più.

Non credo ci pensasse quando al via, occhi negli occhi con i suoi vicini, decideva di incamminarsi in quella strana avventura. Avrebbe potuto non andare, certo. Ma un atleta non si ferma per il tempo. E poi nessuno aveva fermato la corsa, nessuno sembrava preoccupato per la vita d qualcuno, eppure in tanti erano assolutamente impreparati per quella maratona dalle temperature folli. Non certo i top runner, abituati ad ascoltarsi, a sentirsi, ad agire prima di sentire un bisogno, perché sanno che quando lo senti è già troppo tardi. Non i più esperti, che in tre ore avevano già raggiunto il primo traguardo dei 24 chilometri.

Parlo della marea di maratoneti inesperti, che non avevano le conoscenze, l’esperienza, la capacità di valutare le condizioni, il percorso, il proprio allenamento e il proprio abbigliamento come almeno sufficienti per affrontare ore e ore di dura prova che la natura di lì a poco avrebbe messo sul loro cammino. Un percorso molto impegnativo, troppo per quelle condizioni, troppo per certe inesperienze. In tanti si sono fermati allo stremo delle forze, al limite dell’ipotermia, feriti per le cadute dovute ad un terreno reso estremamente pericoloso da pioggia, fango e vento.

24 marzo, il carrozzone parte, nessuno lo ferma, nessuno si ferma. Chi ha la responsabilità di decidere il limite entro cui una corsa podistica non può più essere considerata tale se mette in pericolo la vita degli atleti?


In attesa degli sviluppi dell’inchiesta, se lo chiederanno con il cuore in mano quei soccorritori che non ti dimenticheranno più perchè hanno tenuto il tuo ultimo pezzo di vita sulle loro spalle, pregando che non toccasse a te il rischio più grosso, quello di non tornare più. Ciao Paolo. 

Micaela Deguidi

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