Che meraviglia le Olimpiadi!!!
Ogni quattro anni diventiamo tutti, almeno per qualche settimana, grandi
sportivi… Che lo siamo veramente o meno, in quelle poche settimane ci
appassioniamo a sport a volte mai visti, a storie di vita e di performance che spesso
lasciano un segno nel nostro cuore… Finiamo per parlarne al lavoro, al bar, in
famiglia, tra amici, e sempre a raccontare con quel tono di eccitazione, di
pura emozione: “hai visto ieri quella gara"…“quell’atleta”…
Perché è questa la magia dei Giochi
Olimpici: che tu lo voglia o no, che tu te ne renda conto o meno l’Olimpiade ti
prende per puro piacere e passione, è capace di trascinarti in questo mondo
fantastico fatto di performance incredibili, di forza e potenza, di passione
smisurata e volontà d’acciaio in cui anche noi, come italiani, ci sentiamo in
qualche modo partecipi. Ci ritroviamo a vivere e condividere questo mondo fatto
di pianti e delusioni, ma più spesso di esplosioni di pura gioia e rabbia,
difficili da dimenticare. Perché l’Olimpiade è per un atleta il tetto più alto,
il più antico, il più puro, il massimo obiettivo. E qui stiamo ancora parlando
del mondo dei normo-dotati: ma quando inizia quello dei diversamente-abili che
sapore hanno quelle stesse esplosioni emotive, quegli obiettivi realizzati, il
tetto del mondo scalato e raggiunto, magari senza gambe?
A giudicare dalle notizie
circolate in rete sulle Paralimpiadi di Rio, sicuramente le emozioni circolate quest’anno
sono state intense… Perché se è vero che le Olimpiadi ci appassionano, ci
emozionano, ci coinvolgono completamente, le Paralimpiadi ci appaiono come l’impossibile
che si avvera, sogni incredibili portati alla luce negli impianti sportivi di
Rio. Basta pensare a Bebe Vio, alle imprese di Alex Zanardi, alla grinta di Martina Caironi.
Ma perché i paralimpici ci
impressionano così tanto? Eppure lo sport competitivo non è una prerogativa dei
normo-dotati, anche se questi giochi divennero ufficiali solo nel 1960 a Roma,
considerati i primi giochi paralimpici. Nel 1988, a Seoul, l’Italia si piazzò
al primo posto del medagliere con ben 82 medaglie conquistate, di cui 28 solo d’oro.
Ciò che sembra cambiato non è tanto la capacità dei diversamente-abili di saper
dare vita a performance di altissimo livello, ma il modo di guardarle dei
normo-dotati.
Se per tanti anni i Giochi Paralimpici sono stati, perdonatemi
il termine, “snobbati” dal mondo dei normo-dotati (atleti e non), ultimamente
le cose sono cambiate, e parecchio. La percezione di queste
performance nelle persone è diventata da “poco interessante” a “incredibile ed emozionante”.
Sarà perché alcuni atleti paralimpici sono anche personaggi pubblici molto
apprezzati, sarà per la maggiore visibilità grazie alla diffusione veloce delle
informazioni in rete, ma mai come quest’anno si è percepita la sensazione non
più solo di integrazione ma di vera inclusione delle diversità in un mondo
unico, quello sportivo. Non più l’idea di chi ha e di chi manca, ma quella di
performance e di eroi, con gambe normali o artificiali che sia.
E’ la performance, la
realizzazione di un obiettivo, il saperlo raggiungere ad ogni costo, là sopra
il tetto più alto quello che appassiona, che emoziona, che unisce. Semplicemente i
diversamente-abili, rispetto ai normo-dotati, spostano un po’ più in là (per
forza di cose!) il paletto del limite (soprattutto mentale), là dove spesso
nessuno ha neanche mai osato pensarlo, come Bebe Vio, cioè più verso il limite
dei Super-umani…
Mi piace pensare che questo
immaginario collettivo che sta iniziando lentamente a cambiare le proprie
percezioni sia stato stimolato alle Olimpiadi di Londra del 2012, quando la
Nazione ha invitato il mondo sportivo che aveva appena assistito ai Giochi
Olimpici ad andare a vedere le Paralimpiadi per incontrare i "SuperHumans", i
Superumani: l’impossibile che, giorno dopo giorno, diventa vero.
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